22 novembre 2005

Rieti e la Regione Sabina – Roma 1932

Seguendo da Percile (m.512), piccolo paese in pittoresca posizione su un colle, nel cui territorio, a nord, sono i lagustelli, laghetti di origine carsica. La strada compie, in continua salita, rientranze in alcune piccole valli, quindi contornato il contrafforte sud del colle Catasciano (m.886), torna ad affacciarsi alla via del Licenza.
Si percorrono a mezza costa, con molte curve, in un paesaggio arido e brullo, le fiancate occidentali del colle Catasciano e del colle Migliore, mentre a sinistra domina il colle Cima Coppi (m.1211).
Orvinio (m.830), abitanti 1002 (Pensione 3^ categoria: Garibaldi, camere 7,bagni 1; Ranalli, camere 6 bagni 2), paese a dominio della piccola via di Pezze Santino.
Sino al 1860 si chiamò Cane Morto, quindi assunse il nome attuale poiché qualche studioso ritenne che ivi sorgesse l’antica Orvinium da collocarsi più probabilmente presso Corsaro. Appartenne all’Abbazia di S.Maria del Piano, poi fu concessa in feudo agli Orsini e ai Muti; eretta in ducato nel ‘600 e assegnata ai Borghese, tornò infine al papato.
E’ patria del pittore Vincenzo Manenti (1600-1674). All’inizio dell’abitato è uno slargo donde una scalinata sale alla rustica cinquecentesca chiesetta della Madonna dei Raccomandati nel cui interno sono numerosi affreschi di Vincenzo Manenti.
Sottopassato un arco si imbocca il corso Manenti che sbocca in una piazzetta.
A sinistra una strada sale al Castello Malvezzi Campeggi, già Berlingeri Orsini.
Vasto edificio rimaneggiato e trasformato in villa residenziale, con alta torre cilindrica e ampio parco.
A destra invece si raggiunge la chiesa di S.Nicola di Bari consacrata nel 1536, rifatta in epoca barocca, con interessante grazioso interno a pianta ovale.
Passeggiata S. Maria del Piano max 682 min 30. Si scende la mulattiera che insinuandosi tra il Colle Campani m.779 a sinistra, è il Colle Favito m.778 a destra, scende ai prati ai cui margini occidentali sorge S.Maria del Piano m.682, bella chiesa romanica del sec.XII con portale quattrocentesco e campanile a trifore.Orvinio, oltre il Castello, conserva belle fabbriche e interessanti chiese. Tra queste ultime ricordiamo la chiesa della Madonna dei Raccomandati che risale alla seconda metà del 1500.
A sinistra di chi entra, nell’altare si S. Francesco, c’è un grande affresco rappresentante S. Francesco che riceve le stimmate circondato dai Santi. E’ un buon lavoro del natio pittore di Orvinio, Vincenzo Manenti, fecondissimo autore che abbiamo più volte ricordato. La figura a sinistra vestita da papa è il ritratto del pittore. Ai lati ci sono dei riquadri con rappresentate le Virtù Cardinali e Teologali.
Sempre a sinistra c’è la cappella della famiglia Cervelli, tutta affrescata dal Manenti. Vi è rappresentato da una parte uno sposalizio che è molto interessante per i costumi dell’epoca che riproduce fedelmente. Dall’altra parte cè raffigurato S. Rocco dinanzi al quale, in ginocchio, c’è un abitante di Orvinio.
Nel lato destro della Chiesa, nella cappella di S.Antonio, in otto tondi ci sono ritratti di persone appartenenti alla famiglia Basilici. Interessantissima è una grande tela ovale seicentesca, nella quale è rappresentato S.Andrea.
Sul maggiore altare cè la Madonna dei Raccomandati, lavoro notevole della fine del ‘500 che presenta però parecchi rifacimenti. Su l’altare del Rosario, c’è la tela seicentesca di scuola romana della Madonna del Rosario. La chiesa di S.Maria dei Raccomandati aveva un convento e vi risiedeva anche la Confraternita del Gonfalone aggregata alla Misericordia di Roma.
L’altra chiesa è quella di S. Nicola che fu consacrata il 31 marzo 1536, come leggesi da una iscrizione, dal vescovo Lorenzo Santorelli e che, oltre parrocchia era anche vicaria della Abazia di S.Maria di Pozzaglia, o del Piano.
Quest’ultima era la chiesa più importante di Orvinio, ed oggi ne rimangono purtroppo gli avanzi che meriterebbero di essere sottratti in qualche modo all’azione più deleteria del tempo ed anche a possibili sottarzioni, essendo la chiesa distante da Orvinio e per di più in aperta campagna, a ben due Km. di distanza.
Dice la tradizione che S.Maria di Pozzaglia fosse fondata da Carlo Magno per ringraziare la Provvidenza della grande vittoria avuta sui Saraceni.
Ma se questa può rimanere una supposizione, quello che è certo è che la chiesa ha una origine molto remota, potendo benissimo risalire al secolo XI.
La sua importanza si denota anche dalla ricchezza della costruzione e della eleganza dei particolari architettonici.
Fu Abazia dei Benedettini, e da Leone X fu elevata a commenda. I monaci vi rimasero fino alla invasione francese.
Nel 1818, Pio VII stabilì di erogare le rendite della ex Abazia, accumulate dal tempo della morte dell’ultimo abate, alla fondazione di una nuova chiesa parrocchiale, e nel 1835, per interessamento del Papa stesso, che ne diede incarico a monsignore Canali Vescovo di Pesaro, sorse la chiesa di S.Nicolò che venne inaugurata nell’ottobre del 1842.
Una data sicura per la chiesa di S.Maria del Piano si rileva da una iscrizione incastonata nella facciata in una pietra di fondo, nella nicchia di un archetto. L’iscrizione dice: “Bartholomeus hoc op fieri fecit 1219” e forse si riferisce ad un restauro. Certo che a cominciare dalla facciata, diverse sono le epoche degli elementi che la compongono e vanno, dal sec.XI al XV compreso.
La facciata stessa, rifatta senza un logico nesso, ci può dare un bell’esempio di elementi di varie epoche, a cominciare dal bel rosone alla finestra romanica sottostante sovrastata da un cappello ad arco a ghiere concentriche che poggia su due mensole formate da due aquile.
La cornice che circonda la finestra è con decorazioni geometriche a bassorilievo e nel davanzale vi sono figure di animali.
Interessanti sono gli archetti, interrotti in più punti da lesene, alcune delle quali, sormontate da artistici capitelli.
L’attuale porta è quattrocentesca e sicuramente sostituisce la originaria.
La nave centrale della chiesa ancora si vede terminare con abside semicircolare e sembra fosse coperta a travatura. Alle due parti del transetto che sono invece con volta a crociera, si accede a mezzo di due magnifici arconi rinforzati, costruiti in bella pietra e poggianti su forti semi-colonne che sono a loro volta addossate ai muri maestri.
Certo che questi grandi archi, la loro ubicazione, la forma dei capitelli, fanno un pò pensare, essendo essi elementi riferibili non al sec.XI, al quale vogliamo far risalire la fondazione della chiesa, ma, a molto prima e cioè verso il VII e l’VIII sec..
Ciò darebbe un certo fondamento alla tradizione.
La chiesa prendeva luce da quattro finestre per lato, allungate e a sesto romanico, con leggera strombatura, solamente esterna.
A destra si eleva bellissima, ancora, la torre campanaria che ha, nei diversi ripiani, finestre monofore, bifore e trifore.
Queste ultime sono decorate dalle belle colonnine in pietra bianca e sono inquadrate elegantemente in un incasso rettangolare formato dalle stesse pietre che costituiscono la parete del campanile.
Frammenti di iscrizione, fregi di traebazione con metase e triglifi o con altri elementi decorativi, di classica fattura, sono incastonati quà e là nel campanile stesso.
Non in migliore condizione si trovano i resti della annessa abazia ridotta, in parte, a cimitero.
In merito ai resti dell’antico Castello di Pietra Demone, il Biondi racconta che nel 1761, recatosi sulla cima della montagna detta Moretta tale Benedetto Taschetti di Orvinio, trovò tra i ruderi del castello in parola, un grosso travertino con una iscrizione : OVI-CACUNO F.C. che il Biondi interpretò per : N.N. IOVI CACUNO FACIUND CURAVIT, ritenendo ivi la possibile esistenza di un tempio a Giove sul CACUMEN vale a dire sulla cima della montagna.

18 novembre 2005

Lettera di un emigrante


Carissimo Amilcare,

Buenos Aires 4/2/1913

Dopo di salutare a te e l’intera famiglia vengo a farti sapere le mie notizie che sino ad oggi godo perfetta salute che tanta ne auguro a voi e tua moglie e figli o tardato a scriverti motivo che stavo aspettando di scoprire la terra argentina. Dunque dopo viaggiato 23 giorni di mare giunsi in Buenos Aires non appena arrivato a questa deliziosa città trovai molti dei miei paesani che mi portarono alla amalsen (*) di Orvinio che esiste impineiro (**) la tutti riuniti bevemmo un bicchiere insieme e dopo due giorni mi mise a lavoro. Il lavoro che io faccio è di poca fatica e si lavora ore nove al giorno e guadagno £. 5.00 al giorno. Giù in queste parti dove ora mincontro fa molto caldo invece in Orvinio farà freddo.
Qui il sole sale alle 4,40 antimeridiane e si posa alle ore se di sera.
L’aria l’aqua e Buonissima il vino ce ne molto ma è un poco caro che non passa una domenica che non si beve qualche bicchiere il mangiare si mangia pane e carne maccheroni tutti i giorni insomma sino al giorno di oggi l’argentina mi pare che sia una terra regolare ai molta emigrazione che non passa settimana che non vengono delle migliaia di persone e tutte incontrano lavoro. Qui ai molti stabilimenti e fra i quali ai il gran Talleres del ferro carril sud (***) dove lavorano 5.000 persone e fra i quali ai un quaranta nostri paesani e guadagnano £.200 al mese però sono tutti giovinotti e noi un poco attempati avemo un altro lavoro a impietrare le vie. Qui ora siamo nel tempo di persiche uva mele pere insomma tutti li frutti che stanno in Italia e di gran quantità. Oggi che scrivo è carnevale e fanno grandi feste che se vedessi le vie principali della città tutte imbandierate di tutte le nazionalità e poi mascherate e Bande di musicha che inneggiano il cuoro della festa. Insomma sino pare stare a noi via Orvinio la sera si ritorna tutti li paesani insieme che pare venire dalle serre. Il rincoro per noi i primi mesi è che stiamo lontani dalla patria nativa e dalle nostre famiglie sennò sarebbe uno spasso.
Non mi spiego di più nella tua risposta vi spiegherò meglio
Un saluto a mia moglie e famiglia
Vi raccomando di tenerla docchio durante la mia assenza un saluto a suo fratello Lucio e famiglia un saluto a tua moglie e famiglia e tu ricevi una stretta di mano e ti dico tuo aff.mo servo G.P.

La mia direzione è P.G. Colle Berardino Rivadavia n.703 Pineiro (B.Aires)

(*) spaccio, bottega di alimentari
(**) Pinero, quartiere di Buenos Aires
(***)officina della ferrovia del sud

15 novembre 2005

Inaugurazione della Chiesa Abbaziale di S. Nicola di Bari

Canemorto, 20 ottobre 1842

Canemorto che sul principio del secolo IX fu il teatro della rotta data dalle armi di Carlo Magno a’ Saraceni, dalla strage de’ quali prese il nome di Canimorti, ora Canemorto, deponendo quell’antico d’Orvinio, che fa patria al celebre pittore Vincenzo Cav. Manenti, al ch. Avv. Concistoriale Domenico Morelli, ed al Vescovo di Sutri e Nepi Monsig. Anselmo Basilici (1), e a tanti altri benemeriti e delle belle arti e delle scienze, fu nei giorni 18 e 19 corrente lietissimo per la inaugurazione della nuova Chiesa Abbaziale e Parrocchiale sotto il titolo di S. Nicola di Bari.
Con Breve Apostolico dei 7 maggio 1818 Pio Papa VII all’Emo Vescovo di Sabina pro tempore, alla cui diocesi ha fino a tutto il 1841 appartenuto a Canemorto concesse le facoltà di poter erogare dell’Abbazia eretta in Commenda nella Chiesa di S. Maria del Piano (vasto tempio edificato per ordine di Carlo Magno nel 817 di qua dal rivo che divide dagli altri il nostro territorio lungi un miglio dall’abitato verso l’Oriente) quelle rendite, che esatte si fossero per 15 anni dopo la morte dell’Abate Commendatario ultimo di lei possessore Ecc.mo sig. Caffarelli Canonico Lateranense, alla costruzione di una nuova Chiesa Parrocchiale unita perpetuamente a quella Abbaziale di S. Maria del Piano essendo l’antica Parrocchia divenuta per la seconda volta angusta a questa popolazione, che lo Dio merci per la salubrità dell’aria va sempre aumentando il numero de’ suoi individui.
La discordia de’ pareri sul luogo di costruzione avea differita l’esecuzione di tal Breve fino al 1835, quando il fu Em.o Carlo Odescalchi di gloriosa memoria ne commise l’incarico a Monsig. Francesco de’ Marchesi Canali suo suffrageneo, ed ora degnissimo Vescovo di Pesaro, ed allora fu che questi divisò edificarla ampliando l’area dell’antica Chiesa eguagliata al suolo.
Talché dopo 5 anni si vide sorgere il nuovo edificio in forma ottagonale con cinque Cappelle e bel sotterraneo.
Rimasta però la perfezione del nuovo Tempio nel suo corredo sul più bello sospesa per la vacanza della Sede Vescovile per morte dell’Em.o Gamberoni, sopravvenne l’impegno del vigilantissimo Monsig. Carlo Gigli, Vescovo di Tivoli, al cui governo spirituale venivano destinati dalla SANTITA’ DI NOSTRO SIGNORE PAPA GREGORIO XVI, felicemente regnante con Bolla Apostolica dei 25 dicembre 1841. Ed è perciò che per cura di Lui, ora fra noi in occasione della sua prima visita Pastorale, si è potuta nel giorno 18 corrente, sacro ai dolori di Maria SS.ma, officiar la nuova Chiesa premettendo la solenne Benedizione fatta della medesima dal nostro Vicario perpetuo Parrocchiale Sig. Arciprete D. Gio. Antonelli Romano a tal uopo deputato, e contandovisi quindi dal medesimo la solenne Messa della ricorrente festività con l’assistenza ed intervento di questo Collegio de’ Cappellani, e di altri Sacerdoti Religiosi inviati, e con l’accompagno della bella musica ma devotamente concertata da questa antica Filarmonica Società.
Verso la sera poi del dì seguente il nostro Monsig. Vescovo dalla sua residenza alla Chiesa di S. Maria de’ Raccomandati già dei Religiosi Conventuali finora officiata per mancanza della Parrocchiale, accompagnato e dal Clero, che si era mosso ad incontrarlo, e dalla civica banda militare, volle di sua mano fare il trasporto dell’Augustissimo Sacramento alla nuova Chiesa, premettendo un analogo e commovente ragionamento con quella facondia propria del suo zelo Apostolico, intanto che si allestivano le due numerose Confraternite e del Gonfalone ivi eretta, e del SS.mo Sacramento unita alla Parrocchia.
Terminato il discorso, e vestito il lodato Prelato de’ Sacri paramenti fu esposto il SS.mo Sacramento, ed intonati i sacri Inni secondo il Rituale romano, si mosse la processione che riuscì veramente divota.
Precedevano le due Confraternite in bell’ordine disposte e decorate di magnifici attrezzi e copiose torce, seguiva il Clero divenuto in tal circostanza più numeroso, ed infine portavasi l’Augustissimo Sacramento dall’Ill.mo Monsig. Vescovo assistito dai Ministri nelle persone dei due Canonici Con visitatori e suo seguito, sostenendo le aste del baldacchino scelti individui delle rispettive Confraternite ed attorniato dalle torce che si recavano dai primarj di questo luogo in abito nero vestiti, e similmente due ragguardevoli persone forestiere che vollero prestare un si religioso Ufficio, mentre gli individui di questa brigata de’ Bersaglieri facevano ala e frenavano la calca del numeroso popolo che seguiva.
Le abitazioni sulla strada quasi tutta retta che percorre la processione, erano decentemente ornate di copiosi lumi e fanali, ch’essendo sull’imbrunire della sera, e quieto il vento in quell’ora, rendevano veramente bella la prospettiva.
I canti, alternati dai concerti della civica banda militare, fra il suono delle campane d’ambedue le Chiese e fra il rimbombo de’ mortari, resero la funzione commovente e religiosissima.
Giunti alla nuova Chiesa dopo aver cantato l’Inno di rendimento di grazie e le consuete preci, fu data la trina Benedizione al Popolo col SS.mo Sacramento dal lodato Prelato, che spogliato quindi de’ paramenti sacri si restituì, accompagnato dal Clero e dai privati con torce, alla sua residenza, precedendo la civica banda militare co’ suoi concerti.
La sera poi fu elevato un magnifico globo aerostatico sulla piazza del Palazzo Morelli, presso cui risiedeva l’Ill.mo e R,mo Monsig. Vescovo fra le salve de’ mortari, mentre veniva illuminato da fanali un maestoso arco di trionfo ivi erettogli dal Comune.
Speriamo che un tal avvenimento, il quale formerà epoca ne’ nostri patri annali si pel nuovo vescovo come pel nuovo Tempio, possa esser principio si felici successi, che senza dubbio ci promettiamo dallo zelo veramente pastorale del nostro amatissimo Prelato.

12 novembre 2005

addò so' natu

"I figli non parlano più il dialetto dei padri e gli ultimi anziani del paese vanno via via scomparendo..."

Il libro di Natalino Forte è in vendita a Orvinio.
Tutti i diritti sono stati ceduti gratuitamente dall'Autore al Comune di Orvinio, il quale destinerà il ricavato alla realizzazione o alla ristrutturazione di un'opera pubblica.
L'Autore ha proposto che venga rimesso in funzione il vecchio "abbevoraturu de Vallefraceta".

07 novembre 2005

Narrazione Istorica

A' 28 del Mese di Luglio dell'Anno 1769, quando in Canemorto Luogo di Montagna si sta ordinariamente sulla Mietitura, si adunò quivi il piccolo Consiglio, detto de' 40. In esso venne proposto che saputosi e per andata generalmente male la raccolta del Grano per non soggiacere a qualche strettezza nel tempo avvenire era d’uopo di proibire l’estrazione del Grano da detta Terra, ed ordinare insieme che sin’attanto la Comunita’ avesse potuto aver Denaro fosse stata preferita nella compra di esso a qualunque Particolare, come in fatti fu da tutti i Consiglieri risoluto ed pubblici Rappresentanti Priori di quel tempo Ercole Antonio Fabri, Nicolangelo Cervelli, Giambattista Lalli e Giacomo Bernabei non mancarono di fare le necessarie ricerche per trovar Denaro a Censo ne’ luoghi piu’ Con vicini.
La necessita’ di que ch’erano pressati da’ loro particolari Creditori o a rendergli in risconto de’ debiti il grano, o a pagar a loro il dovuto denaro, non permetteva di farlo ricercar in Roma, d’onde non si sarebbe sennon troppo tardi ottenuto.
Furon vane le ricerche fatte fuori del Paese.
Fu parinteso bensi’ che nel Paese stesso un tal fu’ Filippo Lalli avrebbe dato a Censo il Denaro occorrente per le provvisioni che si voleano fare, quante volte, non i secolari comunisti a quali, diceva di non aver tutto il Credito, per le mancanze in altre occasioni da loro fattegli, ma’ tre Sacerdoti alla Dignita’ de’ quali soltanto dicea conservar egli tutta la dovuta stima, si fossero obbligati di pagarne l’Interesse di un 5 per 100.
A tal voce, i Priori con il Giudice di quel tempo il fu Sig. Sebastiani si portarono uniti a pregare per tale intercessione il Sig. Arciprete Amadei, Don Andrea Taschetti, e Don Ascanio Fabri come che avevano col detto Lalli piu’ accesso di qualunque altro.
Non senza una naturale ripugnanza si vedean questi tre Sacerdoti in tal maniera costretti a cedere a tali convenientissime istanze.
Quasi di queste fossero un Pasce Agnos meos di Cristo a S. Pietro, qui ter hoc modo examinatus Iussionem triplicem accepit Doctrina verbo, Vita exemplo, ac subsidio temporali oves sibi creditas procurandi, obbligatisi un di loro tre Sacerdoti per principale, e gli altri Due per Sicurta’, ottennero dal detto Lalli la somma di scudi 400 coll’interesse anzidetto annuo; ed immediatamente la consegnarono di mano in mano a’ medesimi allora attuali pubblici rappresentanti Priori.
Questi ne vennero comprando grano pagandolo buona parte a ragione di scudi ( o baj) 6 al Rubbio, e parte a scudi (o baj) 8.
Lo tennero custodito ne’ pubblici granari sin attanto durò il loro ufficio, e sin che per chiarezza del rendimento de’ loro conti, per non unirlo colla massa del grano del monte comunicativo, fu d’uopo di trasportarlo in altro particolare Granaro appartenente alla S. Cappella di S. Rocco, ritenendo la chiave presso di loro per riserbarlo all’opportunita’ del piu’ urgente bisogno.
Prima pero’ che arrivasse una tale urgenza lo stesso Giudice si fece un dovere di pensare un modo da tenersi per far sicuri da ogni minimo pregiudizio, o rimessa del proprio, i tre obbligati Sacerdoti, a fargli soggiacere all’obbligo da essi fatto piu’ breve tempo che fosse stato possibile.
Questa giusta mira non aveva luogo se si fosse ricorso alla stipolazione d’un Istromento.
Per la detta stipolazione occorreva la spesa di uno scudo per cento, come si asseriva.: Chi aveva dato il denaro affidato tutto all’integrita’ Sacerdotale, diceva che per Lui non era necessaria una tale spesa: Non era giusto che la facesse tutta la stessa Comunita’, molto meno ch’avessero avuto a pagar del proprio la loro rata i Sacerdoti che da un tale Contratto non erano per ricevere alcun utile.
Oltre di che essi dall’Istromento si venivano a riputar legati sotto il debito Lalli, e soggetti all’arbitrio da’ Comunisti per sempre, di estinguere, o non estinguere per render liberi i Preti un tal Debito.
In Paese, dove non si sanno appieno tutte le cautele Legali, non parve di aver pensato poco l’aver pensato all’espediente che segue:
A di 10 Marzo 1766 si aduno’ il Generale Consiglio di Votanti num. 99 e si fece dedurre a notizia in generale, come la avea gia’ in particolare ciascuno, la provista del detto grano fatta sin dal Settembre passato di consenso del Sig. Governatore e che in essa (per motivi poc’anzi addotti si uso’ questo titolo) si preferiva la Comunita’ alla Compra di detto grano collo sborso di scudi 400 e coll’interesse di scudi 20 che per tale provista si erano obbligati a pagare i detti Sacerdoti, e con di piu’ scudi 18 per le spese occorse per detta provvista fatta dagli Priori, e per loro mercede.
Non si venne ad altra risoluzione su questo, sennon che venendo proposto al Pubblico in detto consiglio, forse in pregiudizio della provvista fatta del grano, quanto Granturco occorreva, al prezzo di scudi 6 il rubbio a credito coll’obbligo solidale, fu, e resto’ a quasi pieni voti neri il detto granturco rigettato, ed escluso.
Non si vuole negare che cio’ non riuscisse di dispiacimento a chi assuefatto sin dal 1764 a trar de’ vantaggi talvolta eccessivi (come accader suole ne’ tempi di pubbliche calamita’) su particolari negozi di grascie, si vedeva considerabolmente provveduto il Pubblico, medianti tre Preti.
Ne’ un tale dispiacimento, dopo la riferita esclusione del Granturco era si poco sensibile da potersi tenere occulto, e da non farne temere a’ Preti qualche effetto di risentimento non troppo favorevole per loro.
Le rappresentanze quantunque false alle quali e’ troppo portato chi risente del dispiacere; non lasciano di fare impressioni a’ Superiori da no facilmente dissuadernegli.
La Prudenza, ed il dovere suggeri’ che due de’ Tre Sacerdoti si portassero a Roma a render i Loro Superiori consapevoli della loro innocente suddetta mediazione prima che altri, la rappresentasse lor per maligna.
Fu questa Loro partenza di contrattempo far convocare nuovo generale Consiglio sei giorni appena dopo l’esclusione del granturco, cioe’:
A di 17 Marzo 1766 fu richiesto se il Popolo voleva il grano a scudi 7, oppure il granturco da caricarsi in Tivoli a spesa di ciascuno a scudi 6 in credenza coll’obbligo solidale, lasciando libera, ed assoluta liberta’ de’ Sacerdoti (questo era il gran tentativo) se il loro grano vogliono darlo alla Comunita’; ed a questa se vuole riceverlo (come se il debito non fosse stato piu’ fatto per essa) ed in caso contrario che possino detti Sacerdoti disporne a loro arbitrio.
Questo bastava per ridurre i Preti alla necessita’ che a lor si tramava, di fare i Negozianti contro i Sacri Canoni, o di rimetter del proprio sull’interesse contratto per utile del Popolo.
Si esigge dal Consiglio che volea ascoltar i Sacerdoti se si fossero compiaciuti che prima di far uso del grano per liberagli dal peso addossatosi, avesse la Comunita’ accettate altre grascie, o ricusati come avea stimato dover fare sei giorni prima per sicurezza de’ detti Preti, si esigge, dissi, dentro questo stesso giorno positiva risposta (per non affrettarne il ritorno) e si costringe il Consiglio a tender le reti agli assenti Sacerdoti anche con parole palliate di comune sovvenimento.
Fu arringato da Giambattista Calliani, e Martini che non essendovi alcun pregiudizio ne’ per l’una parte ne’ per l’altra (cioe’ ne’ per la Comunita' che avrebbe cercato di far prima consumare il grano per scioglier dall’obbligo i Preti, ne’ per essi) fosse pure accettato quel granturco sei giorni prima rigettato, di 99 votanti con voti 8.
Ritornati i Preti alla Patria coll’approvazione della Loro Condotta, e del metodo pensato dal Governatore di quel tempo per loro piu’ sollecita sicurezza, a scioglimento dell’obbligo, nel consiglio A di’ 21 Aprile 1766 si esibi’ a loro nome in sollievo del Pubblico per essere stata sempre tale la loro intenzione (ma’ non di fare il mercante a grano come sin d’allora lor si tramava).
La rubbia 60 Grano alla ragione di scudi ^:30 il rubbio per spese occorsevi, e controversie, ed in altro caso ( attesa l’accettazione del Granturco) i Signori Consiglieri sono pregati a dare a’ Sacerdoti la Liberta’ (chi domanda liberta’ non e’ Padrone, com’e’ Padrone quello da cui vien domandata).
Tutti coscij del giusto approvarono di 102 votanti, neri solo 4, e la quantita’ del grano e la somma del Denaro per i frutti e spese.
Sei giorni appresso, cioe’ A di’ 21 Aprile 1766 fu adunato il picciolo Consiglio per risolvervi il metodo da tenersi sul grano detto per utile, e vantaggio della Comunita’.
D’Attilia vi arringo’ che si fosse panizzato ad once ove la pagnotta e si fosse dato al Fornaio se si fosse trovato a ragione di scudi 8 il rubbio. In tal caso il denaro che se ne ritraeva serviva per sciogliere dal debito i Preti.
“Trojaque nunc stares, Priamique arx alta maneres”. In mancanza del Fornaio arringo’ che si dispensasse il detto grano coll’accrescimento di bajocchi due per coppa e con portare ciascuno sicurta’, o obbligo solidale; e resto’ pienamente approcato.
Intanto pero’ che i Comunisti pensavano sul grano da ricavarne utile, e vantaggio (come segui’) per la Comunita’, era pur di dovere che i Sacerdoti sottoposti al Censo di cui tutto il Denaro avean essi a quattr’occhi fatto prendere da Pubblici Rappresentanti, era dissi, di dovere che richiedessero qualche precauzione, che, come si avverti’ di sopra, fosse la piu’ sbrigativa, e che avessero potuto ritener presso di loro in quei pochi mesi restanti al Settembre , onde a di’ 11 Maggio 1766 fu il picciolo Consiglio adunato ed il DAttilia arringo’ che si faccia un obbligo dal Residente e futuro Priorato per quiete cioe’ de’ Preti, ed il Grano si fosse distribuito in credito da Priori futuri con gli obblighi solidali con lasciargli quei ch’essi medesimi non avessero potuto esigere agli altri successivi Priori per la totale estinzione del Debito.
Su di questo pero’ vi arringo’ Nicolangelo Cervelli che in quanto all’obbligo del Priorato si corresse l’arringo del Dattilia; ma riguardo all’esazione del grano da distribuirsi in tutto al piu’ il futuro Settembre del medesimo 1766; altrimenti si fosse rilasciato il grano a’ Signori Ecclesiastici per il motivo, che gli medesimi soccombono al pagamento dell’usura al cinque per cento sul denaro impiegato, la quale usura non e’ permesso alla Comunita’ d’accollarsi, onde la medesima Comunita’ provvedera’ allora in altro modo.
E questo arringo del Cervelli ebbe il maggior consenso.
Siccha’ stabilita, e promessa detta esazione per rendere esenti al piu’ presto possibile i Sacerdoti dalla soggezione del Debito dentro il breve tempo al piu’ di tutto Settembre, fu radunato il picciolo Consiglio a di’ 13 Maggio 1766, e vi fu a viva voce risoluto che invece di farsi l’obbligo da’ soli Priori come si era detto dal Dattilia nell’arrindo di sopra, si fosse questo sottoscritto da que’ 29 o 30 Consiglieri che vi erano presenti.
A tali Atti pubblici vivendo quieti i detti Sacerdoti, ed affidati che nel prossimo ventuno settembre si fosse venuto alla disopra limitata e stabilita esazione secondo il Consiglio degli 11 Maggio, prima pochi giorni delle raccolte de’ grani i quali sono in Canemorto l’unico mezzo onde potere ritrarre Denaro, ed estinguer debiti, tutto ad un tratto Dominus percussit nons in vento urente, et in perugine Segetes nostras (amos 4, verso 9) .
Con un flagello di carestia peggiore di quello del 1764 non solo si perdette la speranza di poter neppure tentare la sopra riferita concertata esazione, ma si vide tosto la Comunita’ costretta piucche’ mai a far altri Debiti.
Per lo avanti avea tentato fuori di Roma ogni strada d’aver denaro.
Ora non le rimaneva a ricorrere sennon a Roma laddove, come si prevedeva, non si potette avere il Denaro sennon quando non trovo’ piu’ ove impiegarlo che in detrimento sommo del Popolo.
Non si potette dunque coartar il Popolo debitore dell’impossibile.
Non avea piu’ luogo la Stabilita, e promessa e fissata esazione per scioglier i Preti dal Debito a loro nome contratto.
In tali durissime ma provvedute circostanze non potette altro farsi che radunare il Consiglio de’ 40 cui gia’ da molti anni e’ consuetudine che si riporti il Consiglio Generale.
A di’ 5 Ottobre percio’ dello stesso 1766 fu adunato e propostovi che che non essendosi potuto esigere per i Sacerdoti sul Grano distribuito in credito valutato con i frutti dell’anno gia’ maturato, attesa la cattiva stagione, si faceva intendere a nomi de’ Sacerdoti che si sarebbero contentati questi di continuare a soggiacere al debito di scudi 400 per un altro anno, quante volte si fossero puntualmente pagati al Lalli, o a chi per esso anche per quell’altro anno l’interesse consaputo di scudi 20.
Vi arringo’ Giovanni Barnabei che i detti frutti ben dovuti, si facessero esigere dall’Esattore Comunitativo anche per quell’altr’anno, e che i paghero’ de’ Debitori si lasciassero stare intieri per l’altr’anno da maturarsi al Settembre del 1767, ed a pieni voti fu prestato il pieno consenso, appena un solo discrepante.
Lo che fu approvato anche secondo il dovere colla sottoscrizione del Giudice Governatore pro tempore.
Ma in progresso della Carestia vedendosi i nuovi Debiti che a gran passi doveano, e pubblici, e privati contrarre, fu considerato ottimamente, e prevveduto che quanto venne stabilito nel Consiglio del di’ 5 di Ottobre avrebbe corsa anche piu’ impossibil sorte nell’effettuazione, di quello gia’ l’aveva corsa l’altra precedente determinazione risoluta nel Consiglio del di’ 11 Maggio 1766 per l’arringo del Cervelli; cioe’ che nel Settembre del 1767, a cui si era differita la detta, e tante volte promessa esazione per rilevare i Preti dal Debito, medianti essi , contratto, sarebbe stato piu’ impossibile che mai di farla, spropiate le Case del meglio che avevano per vivere nel 1767; fu necessita’ pertanto di adunare
A di’ 3 Febraro 1767 un Generale Consiglio di votanti num. 101, in cui fu considerato, ed esposto, che non essendosi potuto esigere il Credito del Grano distribuito proveniente dalli denari presi a Censo da’ Sig. Ecclesiastici (o sia questi medianti) ad interesse di un 5 per 100, detto interesse necessariamente per accordare la accollazione richiesta da’ medesimi Consiglieri fino a Settembre venturo, dovrebbero detti Sacerdoti pagare del proprio contro ogni ragione (si veda l’arringo del Consiglio de’ 18 Dicembre 1769 e si confronti qui l’indoverosamente, e fuori d’ogni dovere, di quell’arringo pien d’odio del giusto).
Pero’ si progetta, o che sia pagato detto Capitale, o siano pagati i scudi 38 per l’interesse e spese del primo anno, che si dilucidarono nel Consiglio de’ 10 Marzo 1766, e via da’ medesimi Consiglieri accollato detto Censo con pagarne lo stabilito interesse annuo di sc.20 da intendersi principiato a decorrere dal mese di Settembre 1766, sin che possa effettuarsi la totale estinzione, ed esazione intiera per il Principale de’ scudi 400, onde non solo concordemente fu risoluto per rilevare detti tre Sacerdoti da qualunque pregiudizio di pagare il detto interesse come sopra, ma ancora furono accordate da questo general Consiglio le necessarie facolta’ a’ Priori pro tempore di fare stipolare colle solite cautele l’Istromento di Accollazione del detto Consiglio accio’ fossero i detti Sacerdoti rilevati dal Decorso de’ Frutti avvenire sino alla totale Estinzione.
Ben ponderati insieme concatenati tanti Pubblici Atti, e Promesse fatte da un Popolo pienamente coscio di quanto viene sopra narrato per loro sollievo; si domanda il parere se sia giusto il domandarne la Conferma, ed approvazione anche dal SS.mo Pontefice, e valicare come tanti Istromenti le promesse pubbliche fatte avanti al Supremo Giudice Onnipotente Iddio; e sottoscritte da’ giudici pro tempore assistenti, tanto più che il Popolo stesso non fa sannon ricusare di approfittarsi di quelle ragioni legali, le quali gli apparterrebbero nella vita temporale.
Senza bisogno di replicare altri Consigli.
Se si fa obbiezione perche’ i Preti non citavano i Priori che no anno fin ora stipolato il promesso e determinato Istromento, si risponde perche’ non an mai dubitato della pubblica buona fede confermata dalla puntualita’ ogni anno di pagare il promesso interesse di scudi 20, onde non avendo i Sacerdoti occasione di lagnarsi della buona pubblica volonta’, si sono astenuti senza una precisa necessita’ da qualunque atto giuridico di pubbliche istanze; mentre sin dal anno 336 Julius 1, constituit, ut nullus clericus Causam quamlibet in publico ageret nisi in Ecclesia per Notarios stipularetur